Biografia 1964-1968
Si intensifica nel corso dell’anno da parte di L. una critica – iniziata in realtà già nel 1963, soprattutto dopo l’esito elettorale, non brillante per il PRI – e un parallelo dibattito, ad esempio con esponenti del PSDI e del PSI, concernenti le riserve che egli comincia a nutrire nei confronti della capacità e della volontà d’innovazione dei governi di Centro-Sinistra. Pur ritenendoli l’opzione politica migliore e in certo modo obbligata a causa della permanenza del PCI nel campo anti-occidentale, L. giudica non di rado debole la effettiva qualità politica – e, sempre più spesso, morale – del riformismo di governo, specie da parte della DC; mentre anche in ambito sociale le resistenze al cambiamento diventano man mano più consistenti, sia nella classe imprenditoriale, sia fra i ceti subalterni.
Si fanno strada in L. giudizi non di rado pessimistici sull’arretratezza della classe dirigente, ma anche la sua previsione del rischio concreto di contrazione dell’economia italiana e della fine anticipata del lungo ciclo espansivo del dopoguerra, in assenza d’un cambio di marcia che pure egli invoca costantemente. Snodo fondamentale di questa iniziativa di L. è sia il documento che invia il 18 febbraio al Presidente del Consiglio Moro, sia la successiva lettera che il 14 marzo sottopone all’attenzione dei segretari delle tre confederazioni sindacali: avvertendo un forte squilibrio «fra la quota del reddito nazionale che andava al sistema produttivo, soprattutto agli operai, e la quota del reddito nazionale che andava alle strutture pubbliche», egli propone ai suoi interlocutori una politica globale dei redditi da considerarsi quale «strumento essenziale della programmazione» (Intervista, p. 69).
Fra le misure da adottare, secondo L. vi è la necessità di un tetto specifico nella distribuzione dei profitti e degli utili; una riduzione degli emolumenti degli alti dirigenti delle imprese; il divieto di cumulo degli stipendi; la tassazione progressiva dei beni voluttuari; una forte riduzione dell’evasione fiscale, nonché la «sospensione della scala mobile [e l’] inquadramento delle rivendicazioni settoriali in un esame semestrale generale delle retribuzioni» da parte del governo, dei sindacati e delle imprese (in Polemica economica a sinistra, 1971, p. 47). L’iniziativa di L., tuttavia, viene contestata sia sul versante sindacale – anche da esponenti repubblicani della UIL, ad esempio Franco Simoncini – e politico, essendosi convinti in molti che «io tendessi solo al blocco dei salari» e non già al tentativo di «controllare lo sviluppo equilibrato della dinamica dei redditi» (Intervista, p. 70); sia però in alcuni settori confindustriali – anche in passato ostili al riformismo lamalfiano – oltre che, in quell’occasione, da Paolo Baffi.
Nel corso dell’estate vi sono le dimissioni, a giugno, del governo Moro I, seguite dalla formazione, a luglio, di un nuovo esecutivo con identica maggioranza presieduto dallo statista pugliese, ma soprattutto l’emorragia cerebrale che ad agosto colpisce il Segretario del PCI Togliatti mentre è in vacanza a Jalta, dove muore; quindi il grave ictus che colpisce sempre ad agosto il Presidente della Repubblica Segni, costretto pertanto a dimettersi e che morirà a dicembre. Essendo interessata la stessa figura di Segni da voci d’un suo presunto coinvolgimento in manovre golpiste – note tuttavia all’opinione pubblica solo tre anni dopo, grazie alle rivelazioni dell’“Espresso” – e di un opaco tentativo d’interferire nella sfera politica da parte di alcuni settori dell’apparato militare e dei servizi segreti, L. in questa delicata fase si spende in prima persona – e in tal caso con successo – per favorire l’ascesa al Quirinale di Saragat, eletto infatti Presidente della Repubblica il 29 dicembre. Il tentativo di L. è di rinvigorire, grazie all’elezione di Saragat, il Centro-Sinistra, ma anche di compattare in qualche modo la sinistra laica e democratica, nonché lo stesso PSI, attraversato ormai da divisioni crescenti sulla linea politica da adottare e dalle dimissioni di Lombardi dalla direzione dell’“Avanti!”.
A marzo si reca negli Stati Uniti – a Washington e a New York – assieme ad Adolfo Battaglia ed incontra fra gli altri Arthur Schlesinger, nonché diversi esponenti democratici e dell’amministrazione americana: ivi caldeggia una linea tenacemente antigollista e nell’estate, dinanzi alle accuse del generale, all’Italia, di voler affossare la politica europea della Francia, L. scrive che tutto ciò deve essere per il nostro paese «menzione d’onore» (VR, 25-26 luglio 1964). In questo periodo L. ha modo di precisare tale strategia anche cercando di convincere – seppur invano – Jean Monnet a candidarsi alle elezioni presidenziali francesi dell’anno seguente, facendole così diventare la «bataille pour ou contre l’Europe», come L. gli scriverà in una lettera del 10 luglio 1965 (in Soddu 2008, p. 267).
Sostiene infine apertamente, sebbene senza esito, la «candidatura di Altiero Spinelli a membro della Commissione della CEE», come scrive a Nenni l’8 gennaio, ritenendolo «l’uomo più indicato a rappresentare, con intelligenza, socialisti e repubblicani in quella importante carica. Si tratta di un uomo che ci è molto vicino ed ha idee estremamente chiare in materia» (Carteggio La Malfa-Nenni, p. 89).
Si accresce il biasimo di L. a causa di quella che giudica l’inadeguatezza crescente dei governi di Centro-Sinistra e, in occasione di alcuni episodi di corruzione che balzano agli onori della cronaca, tale atteggiamento si trasforma in un evidente disagio. Per queste ragioni, nel febbraio propone un’inchiesta parlamentare e in sostanza chiede al Presidente del Consiglio Moro, seppur senza esito, l’istituzione di una «commissione d’indagine sui rapporti fra classe politica e burocrazia, per sanare una situazione che era andata sempre più degenerando» (Intervista, p. 82).
Al XXIX Congresso nazionale del PRI, tenutosi a Roma alla fine di marzo, la mozione di L. conquista una larghissima maggioranza. Avendo assunto Reale, nel dicembre 1963, responsabilità di governo come Ministro di Grazia e Giustizia nel governo Moro I, dal gennaio 1964 il partito è retto da una segreteria collegiale composta da Oddo Biasini, Claudio Salmoni ed Emanuele Terrana; nell’aprile 1965, poco dopo il congresso, L. diventa Segretario del PRI. Prosegue ed intensifica il percorso di rinnovamento politico del partito, che grazie a lui si è precisato a partire dai primi anni Sessanta, e lo porta in questo periodo a compimento: non solo contribuendo ad inserire definitivamente nel pantheon del PRI riferimenti teorici nuovi – Nitti, Dorso, Amendola, Salvemini, Keynes – ma anche caratterizzando la sua segreteria attraverso una leadership vigorosa, che fa sempre più del PRI il “partito di L.”, cioè immediatamente identificabile con la sua figura, anche sul piano mediatico.
In occasione del XXXVI Congresso nazionale del PSI, a novembre, in cui prevale una linea favorevole alla costituente socialista e alla riunificazione col PSDI, il leader dell’opposizione interna, Lombardi, critico nei confronti del Centro-Sinistra, ha modo di contestare anche la politica dei redditi lamalfiana, ritenuta una riforma sostanzialmente debole rispetto alle esigenze e ai bisogni della società italiana. Rispondendo a Lombardi ne “La Voce Repubblicana”, L. ribadisce l’utilità e la necessità della politica dei redditi, presupposto d’una programmazione economica razionale, sebbene emerga da questo profondo dissenso l’affanno in cui versano complessivamente le forze di sinistra della coalizione di governo, sempre più divise ed insoddisfatte dei risultati di quella stagione politica.
Nel maggio, infatti, L. si dimette dalla Presidenza della V Commissione Bilancio e Partecipazioni Statali della Camera a causa di quella che giudica ormai l’intollerabile segmentazione dell’opera legislativa ed il conseguente proliferare d’interessi corporativi e burocratici, rispetto ai quali il parlamento non agisce con la necessaria forza; avendo suscitato questa scelta di L. alcune perplessità anche all’interno del PRI, le dimissioni rientrano, seppur per breve tempo, divenendo irrevocabili il 5 novembre.
Per quanto riguarda il processo d’unificazione del vecchio continente, L. continua ad opporsi strenuamente a De Gaulle, considerato il maggior pericolo contro l’integrazione europea, in particolare in occasione della crisi innescata dalla cosiddetta “politica della sedia vuota”, attuata dalla Francia al fine di destabilizzare la Commissione della CEE – entrata in carica nel 1958 – e soprattutto il suo Presidente Walter Hallstein, dimessosi poi nel 1967. L. sostiene che la posizione italiana deve essere, tanto più in una fase critica, per la difesa dell’allargamento delle competenze del parlamento europeo, nonché attiva sul piano diplomatico nella costruzione di una larga alleanza antigollista, quindi di un’intesa con il Regno Unito, che lui ha già avuto modo di perorare in passato.
Si conclude il 27 aprile, a Roma, grazie al confronto pubblico fra L. e Giorgio Amendola, un primo percorso di dialogo e di dibattito politico fra PRI e PCI, iniziato in realtà già da due anni: sia in occasione di un altro incontro pubblico al quale L. ha partecipato a Ravenna, nel dicembre 1965, con Pietro Ingrao; sia, dopo la morte di Togliatti, durante una commemorazione alla Camera nel settembre 1964, durante la quale L. ha riconosciuto al PCI – in virtù del pensiero di Gramsci – una matrice risorgimentale comune anche alle altre forze della sinistra democratica italiana, da cui i comunisti si dividono però nettamente sul valore che essi attribuiscono, ancora, alla rivoluzione d’Ottobre; sia infine nella relazione di L. al congresso nazionale del PRI e nella quale pur rivendicando «una maniera di porre la problematica della sinistra, che [nei repubblicani] non potrebbe essere più opposta a quella dei comunisti», egli ha comunque affrontato il grande tema del «travaglio della sinistra italiana, di tutta la sinistra italiana» (Il XXIX Congresso nazionale… Atti e risoluzioni, 1968, pp. 172, 174), sostenendo che il confronto costante con la storia e con la cultura del movimento operaio – di cui il PCI è magna pars – è necessario per risolvere i problemi dello sviluppo delle società democratiche.
Dai confronti pubblici con Amendola e con Ingrao, pur in presenza di rigidità e d’incomprensioni – che vi sono in realtà anche il 28 maggio a Firenze, durante il dibattito pubblico di L. con Vittorio Foa, il quale ha appena aderito allo scissionista PSIUP – emergono alcuni temi di grande importanza e di lungo periodo nella visione politica di L.: la riflessione sull’esaurirsi della vitalità del Centro-Sinistra e sulla possibilità che il PSI rimanesse realmente il principale interlocutore del PRI per favorire una radicale azione riformatrice; i dubbi crescenti sulla consistenza politica e morale della DC e dei suoi massimi leaders, verso i quali la diffidenza di L. si fa più forte; infine l’intuizione e al contempo la speranza d’intercettare i segnali di cambiamento provenienti dal comunismo italiano, nient’affatto ridimensionato dopo il 1956 ed anzi in crescita a livello elettorale – anche per l’indebolimento graduale del Centro-Sinistra – eppure nel mezzo d’una crisi sempre meno latente, dovuta alla collocazione del partito nel blocco sovietico, stridente tuttavia rispetto alla rapida modernizzazione dell’economia e della società italiane, di cui lo stesso elettorato del PCI è espressione.
Nel quadro d’una escalation del confronto Est-Ovest su scala mondiale, L. si schiera contro l’aumento e lo sviluppo degli armamenti nucleari. A tal proposito il PRI elabora un “libro bianco” sulla non proliferazione che viene presentato a Roma, il 6 aprile, in una conferenza stampa alla presenza dello stesso L., nonché di Edoardo Amaldi, ordinario di Fisica generale all’Università La Sapienza, e di Gilberto Bernardini, Direttore della Scuola Normale Superiore di Pisa. L., pertanto, in relazione a questi temi esercita per diverso tempo una pressione sugli esitanti governi italiani, contribuendo così ad ottenere, il 28 gennaio 1969, l’adesione finale dell’Italia al Trattato di non proliferazione, già stipulato il 1° luglio fra i primi paesi aderenti ed entrato in vigore il 5 marzo 1970.
È contrario, già nel 1965, alla nomina del generale Giovanni De Lorenzo a Capo di Stato Maggiore dell’esercito, mentre nel corso dell’anno contesta a Moro la gestione del cosiddetto “scandalo Sifar”, acuito dal clamore suscitato presso l’opinione pubblica dal processo nei confronti dei giornalisti dell’“Espresso” Lino Jannuzzi ed Eugenio Scalfari, querelati da De Lorenzo e che con la loro celebre inchiesta hanno rivelato le manovre golpiste del cosiddetto “piano Solo”.
Nell’anno che vede esplodere la contestazione giovanile, l’occupazione studentesca delle università e poi il graduale intensificarsi delle lotte operaie, culminate nel 1969 nell’“autunno caldo”, L. evidenzia di questa stagione due aspetti fondamentali: da un lato il valore positivo e realmente rivoluzionario che tale sommovimento ha sul piano dei costumi, dei diritti e del progresso civile, nel quadro d’un passaggio rivelatosi poi basilare per l’effettiva modernizzazione della società italiana; dall’altro il forte stimolo – rappresentato appunto dalla “contestazione” – nei confronti delle mancate riforme e dei ritardi attribuiti alla classe politica, dalla quale la società pretende una capacità d’innovazione che essa sembra però aver perduto. Da questa constatazione, L. evince comunque l’inadeguatezza a costruire una valida alternativa al sistema dei partiti da parte delle culture politiche formatesi o rianimatesi grazie al Sessantotto – il socialismo e il marxismo eterodossi, l’area radicale e libertaria, ecc. – nel cui ambito, peraltro, alligna a volte una carica ideologica ed antidemocratica pericolosa, che di lì a poco gonfierà le vele del terrorismo. Proprio per queste ragioni, nondimeno, si fa più urgente per lui la necessità di consolidare il dialogo col PCI – investito con forza, e a più riprese, dall’onda d’urto del Sessantotto – incalzandolo e stimolandone un cambiamento tanto più urgente quanto più in grado di ripercuotersi positivamente su un sistema politico che secondo L. è in larga misura bloccato.
In occasione della primavera di Praga e della conseguente invasione sovietica, che determina finalmente un primo «grave dissenso» nel comunismo italiano rispetto all’azione repressiva dell’URSS, L. invoca in parlamento un necessario e «profondo travaglio» nel PCI, il quale deve poter «inquadrare il problema di una forza di sinistra in una società [come quella italiana] di oggi, con tutte le sue contraddizioni, ma anche con la sua condizione diversa da quella delle società socialiste» (seduta del 30 agosto 1968, DP, 2, p. 1187).
Attento ai fermenti giovanili e studenteschi – già nel 1966, in seguito ai disordini all’università di Roma e all’uccisione dello studente socialista Paolo Rossi da parte dei neofascisti, in aprile, L. partecipa ai funerali di Rossi e attacca Ugo Papi, rettore de La Sapienza, ritenendolo responsabile per la degenerazione del clima politico nell’ateneo – lamenta a più riprese la mancata riforma universitaria, altro motivo di dissenso con Moro. In un discorso tenuto durante un convegno degli studenti universitari repubblicani, in aprile, L. afferma di comprendere la protesta che anima gli atenei italiani, specie nelle sue istanze di progresso e modernizzazione, ma non la parallela critica di alcuni ambienti studenteschi alla società dei consumi e a quella che è stata la crescita economica dell’Italia nel dopoguerra, la quale sebbene imperfetta ha cercato concretamente di «assicurare lavoro a tutti gli uomini, redimere le zone [del paese] che sembrano vivere la vita di alcuni secoli fa, assicurare istruzione e cultura a tutti» (in Soddu 2008, p. 277).
Alle elezioni politiche, nel maggio, si registra il recupero della DC, il fallimento del Partito Socialista Unificato (PSU) nato nel 1966 dalla riunificazione fra PSI e PSDI, l’affermazione del PSIUP, la notevole crescita del PCI. Il PRI, dopo anni difficili, inverte la rotta ed ottiene il 2% alla Camera e il 2,1% al Senato, mentre L. è eletto deputato nella circoscrizione di Catania. Da questi risultati e, ancor più, da quelli delle coeve elezioni politiche in Francia, egli evince l’impossibilità d’una alternativa di sinistra imperniata sui partiti comunisti, i quali proprio perché solo all’inizio d’un percorso revisionista non sono in grado di porsi alla guida di società complesse come quelle occidentali: «e le forze golliste in Francia», afferma infatti al Consiglio nazionale del PRI, alla fine di giugno, «come la DC per avventura domani in Italia, non fanno o non faranno che sfruttare la condizione articolata di una società, che si rifiuta allo schematismo comunista»; con il rischio perciò di far somigliare l’iniziativa di una simile sinistra «alla famosa fatica di Sisifo» (in Soddu 2008, p. 278).
La strategia conseguente per il PRI – da lui ribadita anche al XXX Congresso repubblicano, tenutosi a Milano nel novembre e che vede ancora una volta una netta affermazione di L. alla guida del partito – deve consistere nel tentativo, per quanto arduo, di rilanciare e «difendere lo schieramento di centro-sinistra», provando quindi a «sollecitarlo, perché prenda atto dei reali problemi che la società attuale pone»; al contempo il PRI deve «alimentare un continuo dibattito nell’ambito della sinistra, perché […] prenda atto […] che alcune sue impostazioni sono ideologicamente e politicamente anacronistiche» (in Soddu 2008, pp. 278-279).
Dopo le elezioni, peraltro, a causa del risultato non brillante del PSU, si apre la strada al governo Leone II (24 giugno-12 dicembre), monocolore DC di breve durata, appoggiato da PLI, PRI, PSU. Ad esso segue, dal dicembre 1968 all’agosto 1970, la stagione dei tre consecutivi governi guidati dal democristiano Mariano Rumor, tutti di Centro-Sinistra. Il PRI li sostiene e in due di essi – il I e il III – vi sono suoi ministri.
Nella V Legislatura, L. in qualità di deputato dal 1968 al 1972 è membro della Giunta per il regolamento e membro della III Commissione Affari Esteri ed Emigrazione.