Biografia 1954-1958

1954
IL CONGRESSO DI FIRENZE:
È SCONTRO CON PACCIARDI
La Voce Repubblicana, 19 agosto 1953

Nel XXIV° Congresso Nazionale del PRI, tenutosi a Firenze nel Cinema Teatro La Pergola fra il 29 aprile e il 2 maggio, La Malfa sostiene la necessità di allentare i legami dei repubblicani con l’area di governo. Su questo punto si determina uno scontro molto duro con Pacciardi. Emerge una prima, parziale convergenza con Reale. Nel corso del Congresso, discutendo le posizioni di Giovanni Conti, che rappresentava la difesa della posizione repubblicana ortodossa, dirà: «Quando attuo la liberazione degli scambi io mi sento nell’ambito della storia della scuola repubblicana, ma guai a fermare la scuola repubblicana ai testi già fatti, senza un’estensione di questi testi in un campo di esperienze più larghe. […] Il rapporto fra economia pubblica e economia privata non può essere compiutamente esaminato da tali testi» (La Malfa, Scritti 1953-1958, p. 167).

Il 19 agosto muore Alcide De Gasperi. La Malfa scrive un articolo dal titolo “Problema angoscioso” su La Stampa del 26 agosto. Di De Gasperi scrive che «ha portato se stesso e il suo partito ai più alti fastigi e, nel contempo, ha saputo dare una nuova vita all’Italia. Insensibilmente, giorno per giorno, con una pazienza e una moderazione politiche esemplari, ma con una chiarezza di vedute altrettanto eccezionale, il cattolico-liberale ha saputo mutare il precedente equilibrio: il partito cattolico, da autorevole partito con le forze laiche, è divenuto il partito al quale le forze laiche dovevano dare il loro appoggio se volevano mantenere e salvare la democrazia. […] Il capolavoro di De Gasperi non è stato soltanto quello di avere portato l’Italia cattolica in primo piano, ma di avere subito intuito che la grande vittoria del partito cattolico poteva essere pericolosa.» (La Malfa, Scritti 1953-1958, pp. 236-237).

LA FRANCIA RESPINGE LA CED

Il 30 agosto l’Assemblea Nazionale francese respinge la ratifica del trattato istitutivo della CED. In un articolo dell’8 settembre sulla Voce Repubblicana, La Malfa scrive: «…non bisogna dimenticare la causa storica che ha portato lo sviluppo dell’europeismo in questo secondo dopoguerra. Di unità europea han parlato, per ragioni ideali, in altre età, Mazzini e CattaneoBriand o Coudenhove-Kalergi. Ma le condizioni storiche nelle quali quell’idea era maturata erano ben diverse da quelle attuali. Mai in nessuna epoca precedente erano sorte, fuori dall’Europa, due potenze della forza economica, politica e militare degli Stati Uniti d’America da una parte, dell’Unione sovietica dall’altra» (La Malfa, Scritti 1953-1958, p. 243). La Malfa, cioè, pone il problema dell’Unione Europea come problema di sopravvivenza di paesi europei nella morsa delle due grandi potenze: «Può un’Europa divisa in molti Stati, con economie estremamente deboli e fragili, resistere alle pressioni esterne, senza alla lunga cedere. […] Come è possibile sopravvivere al confronto coi due colossi extraeuropei, senza fare uno sforzo unitario, senza che l’Europa riorganizzi le prossime strutture economiche e politiche sul piano sperimentato…dalle due potenze che oggi dominano la scena del mondo? […] Al di là di questo compito non vi è esattamente nulla: o una vita tremebonda al riparo della potenza atomica americana o la genuflessione timorata dinanzi ai potenti del Cremlino da cui in definitiva dipenderà la sorte di ogni piccolo Stato europeo» (Ibid., pp. 243-144)

Il 7 novembre sulla Voce Repubblicana, sotto il titolo “Aberrazioni Nazionaliste”, La Malfa critica un discorso pronunciato a Parigi dal generale De Gaulle: «Un tale misto di esaltazioni patriottiche, di spregio verso le istituzioni democratiche, di volontà di potenza, e di una potenza che più non esiste, non solo per la Francia, ma per qualsiasi paese continentale dell’Europa occidentale, che discuterne è quasi impossibile. […] Non c’è più posto, in Europa, per sogni e per esaltazioni di questo genere. E continuare su questa strada, sulla strada che ha portato a due guerre mondiali, e al presente deplorevole stato di cose, significa…togliere all’Europa ogni possibile residua possibilità di esistenza» (La Malfa, Scritti 1953-1958, pp. 272-273). Si tratta dell’anticipazione di una polemica contro De Gaulle che si manifesterà dopo il colpo di Stato che riporterà al potere De Gaulle nel ’58 (si veda la raccolta di scritti: Ugo La Malfa, Contro l’Europa di De Gaulle, Milano, Edizioni di Comunità, 1954).

Nella seduta del 13 dicembre della Camera dei deputati, La Malfa interviene sulla ratifica del trattato di Bruxelles che crea l’Unione Europea Occidentale (UEO), con un discorso di politica estera di grande ampiezza. Nell’intervento, La Malfa dichiara il voto favorevole alla ratifica del trattato ma ritiene che i paesi dell’Europa occidentale debbano procedere sulla via dell’integrazione economica e politica e non soltanto con la cooperazione militare: «[Non vi è ragione di] credere che dal trattato di Bruxelles possa nascere… un processo integrativo dell’Europa. […] Col passaggio dalla CED all’Unione dell’Europa Occidentale…il problema dell’Europa è rimasto puramente militare; i paesi europei alla frontiera della Russia rimangono, da un punto di vista economico, da un punto di vista politico, divisi, completamente divisi, ciascuno con la tendenza a portarsi sul terreno della difesa di interessi puramente nazionali e nazionalistici» (La Malfa, Discorsi parlamentari, vol. 1, pp. 473 e 477).

1955

Il percorso d’unificazione fra repubblicani, socialdemocratici e liberali, caldeggiato da L., tuttavia non decolla – anzi è accolto freddamente sia da Saragat, interessato a prospettive di alleanza e di riunificazione inerenti il solo PSI; sia da Malagodi, contrario a qualsivoglia collocazione dei liberali italiani a sinistra – quindi si arena definitivamente in occasione dell’elezione del Presidente della Repubblica, Giovanni Gronchi, nell’aprile; così come della successiva nomina del Presidente della Camera, Giovanni Leone, a maggio. In entrambi i casi le forze laiche si dividono e si configura lo scenario peggiore per L., che pure già nel 1953 ha osservato che i partiti laici in ultima analisi «sanno quel che non vogliono; ma sanno poco quel che vogliono» (Commedia degli equivoci?, VR, 19 dicembre 1953, in Scritti 1953-1958, p. 77).

Dopo aver guardato con favore, fra il 1955 e il 1956, alla scissione del PLI e alla nascita del Partito Radicale (PR), si rafforza pertanto in L. l’attenzione per l’evoluzione ed anche per il travaglio che interessa il PSI, il quale appare sempre più insofferente, in larghi settori, nei confronti dell’alleato comunista – ormai prevalente nei rapporti di forza a sinistra – e soprattutto della permanenza nel blocco sovietico. Al Consiglio nazionale del PRI, nel giugno, in disaccordo con Pacciardi L. ribadisce la necessità di orientare la strategia dei repubblicani fuori da qualsiasi durevole riproposizione di iniziative centriste, affermando inoltre che la posizione di Nenni e dei socialisti ha esercitato una forte suggestione su elementi e forze che appartengono alla tradizione democratica laica.

A proposito del cosiddetto “piano Vanoni”, presentato dal Ministro del Bilancio del governo Scelba (10 febbraio 1954-6 luglio 1955) – a cui il PRI fornisce il solo appoggio parlamentare, rimanendo fuori dall’esecutivo – L. lo giudica una riforma lodevole, che comincia a porre concretamente il tema della programmazione economica, anche se rileva l’insufficienza del centrismo post-degasperiano ad interpretare politicamente il piano, quindi l’impossibilità per quell’assetto governativo d’incarnare ipotesi realmente riformatrici.

L., pertanto, ha un approccio simile anche dinanzi al governo Segni I (6 luglio 1955-19 maggio 1957) e per queste stesse ragioni – già pensando, de facto, ad una politica globale dei redditi – egli sostiene che il piano Vanoni rischia di essere «quasi del tutto astratto» nell’attimo in cui non individua con chiarezza le «due economie» che nel nostro paese «si sovrappongono: l’economia di un’Italia che vive in condizioni di benessere; l’economia di un’Italia che vive in condizioni di indigenza. Aumenti o non aumenti negli anni venturi il reddito nazionale, occorre comprimere tutti i consumi attuali dell’Italia che vive in condizioni di benessere, per aiutare il sollevamento dell’Italia che vive in condizioni di indigenza» (Tre fondamentali riserve sul piano Vanoni, “La Strada”, 13 febbraio 1955, in Scritti 1953-1958, p. 313).

1956

L’anno che vede esplodere su scala mondiale la crisi del comunismo si apre, nel febbraio, con il XX Congresso del Partito Comunista dell’Unione Sovietica (PCUS), durante il quale il cosiddetto “rapporto segreto” di Nikita Chruščëv rivela al mondo i crimini di Stalin. Conscio del difficile percorso intrapreso già da alcuni anni dal PSI e in particolare da Nenni, al fine di allontanare definitivamente il partito socialista dal legame – anche teorico – col marxismo e dall’alleanza politica col PCI, il 21 marzo L. scrive a Nenni: «ho la sensazione che questo sia un momento di gravi e, forse, storiche decisioni per voi e per lo sviluppo democratico della vita del nostro Paese. Con l’affievolimento e, forse, la crisi della politica comunista, il posto di guida del socialismo in Italia spetta ormai a voi, sulla base della stessa tradizione del vostro partito» (Carteggio La Malfa-Nenni (1947-1971), 1991, p. 37).

Prolungandosi la crisi, nel corso dell’anno, con la fibrillazione dei regimi comunisti dell’Europa orientale – dapprima grazie ai fermenti polacchi e al ritorno al potere di Władysław Gomułka, poi soprattutto in occasione dell’invasione sovietica dell’Ungheria – L. esprime un giudizio molto duro sia sulla effettiva vitalità del cosiddetto “socialismo reale” e sulla forza propulsiva d’una sinistra che si richiama esplicitamente alla rivoluzione d’Ottobre, sia sulla contraddittoria esperienza del comunismo italiano. Commentando l’VIII Congresso nazionale del PCI, a dicembre, L. ritiene infatti quel partito la «quintessenza del riformismo economico e sociale, in un’aspirazione di carattere totalitario», indice di una sostanziale debolezza del PCI, poiché il suo «riformismo strumentale, nell’attesa di un momento rivoluzionario che non viene, e non si ha la possibilità di creare, è il peggiore riformismo che un partito possa praticare: poiché si presta a qualunque speculazione degli interessi costituiti» (Rivoluzionari e riformisti, VR, 20 dicembre 1956, in Scritti 1953-1958, p. 684).

Guarda perciò con speranza al riavvicinamento progressivo fra PSI e PSDI, culminato nell’incontro di Pralognan fra Nenni e Saragat, nell’agosto, preludio ad una possibile riunificazione dei due partiti ma anche ad un inserimento del PSI nell’area di governo, sebbene il 14 dicembre egli abbia scritto a Nenni: «vedo che le cose vanno assai male e l’unificazione incontra sempre più decisi avversari» (Carteggio La Malfa-Nenni, p. 42), prevalendo in quella fase le diffidenze reciproche e le timidezze politiche degli uni e degli altri. La storica occasione fornita dal 1956, del resto, è secondo L. indifferibile e costituita dalla concreta edificazione d’una sinistra democratica, finalmente unita nelle sue diverse anime: «La crisi del comunismo non si svilupperà se a fianco del Partito comunista rimarranno forze socialiste e democratiche divise e contrastanti, pregiudicate dal peso di vecchie e superate impostazioni politiche, malate di riformismo paternalistico o di massimalismo; si svilupperà se, accanto al Partito comunista in declino, sorgerà una forza nuova, intransigente sul terreno ideale e morale, capace di attuare profonde modificazioni nella struttura economica e sociale dell’Italia» (Il dovere dell’unificazione, 23 gennaio 1957, in Scritti 1953-1958, p. 700).

Al XXV Congresso nazionale del PRI, tenutosi a Roma nel marzo, L. ribadisce, rafforzandola, la sua linea di radicale rinnovamento del partito, implicante la costruzione d’una più larga sinistra democratica e parimenti d’una svolta di Centro-Sinistra sul piano governativo. Trova un accordo, per il controllo del PRI, con l’ex azionista Reale, riconfermato segretario e che è favorevole ad un lento e progressivo abbandono del centrismo, difeso invece da Pacciardi quale opzione politica principale per i repubblicani. Attorno a L. – già al Congresso e poi negli anni a venire – si forma un nucleo di giovani quadri e di dirigenti che qualificherà sempre più l’azione e l’organizzazione del PRI, anche a livello locale: da Oddo Biasini a Giorgio Bogi, da Adolfo Battaglia a Tullio Gregory, da Francesco Compagna a Giuseppe Galasso, fino a Mario Del Vecchio e ad Aristide Gunnella.

1957

Si incaglia la prospettata unificazione fra PSDI e PSI, nonostante da parte di quest’ultimo vi sia ormai il riconoscimento – per quanto sofferto, specie al Congresso di Venezia del partito socialista, nel febbraio – del nesso inscindibile fra socialismo e libertà, fondamentale per svincolare il PSI dall’alleanza esclusiva col PCI e contemplare realisticamente l’inizio del Centro-Sinistra, prospettato da L. con convinzione.

Le resistenze della DC, nondimeno, nonché i malumori all’interno del PSDI e dello stesso PRI – in primis da parte di Pacciardi – per l’ipotizzata fine del centrismo, rendono impossibile l’immediata affermazione del Centro-Sinistra e prolungano anzi la stagione centrista post-degasperiana, giudicata però da L. del tutto inadeguata, specie nelle sue tarde propaggini, ad imprimere quell’impulso riformatore di cui la società e l’economia italiane hanno urgente bisogno.

Pubblica, per la casa editrice Il Mulino, il volume Il 1956: la crisi del comunismo e la via della democrazia, raccolta di suoi scritti ed interventi concernenti la coeva crisi del comunismo mondiale e italiano.

Tra la fine dell’anno e i primi mesi del 1958 L. subisce un primo distacco della retina, che lo costringe ad un ricovero ospedaliero in Olanda.

1958

Nelle elezioni politiche del maggio il PRI, alleato con il PR, ottiene sia alla Camera sia al Senato l’1,4% e, nel quadro d’un radicamento ancora scarso soprattutto al Sud, risultati comunque incoraggianti in Emilia-Romagna – dove L. è confermato deputato, sempre a Bologna – nonché nelle Marche e in Toscana. Le elezioni attestano, nel complesso, la grave crisi del centrismo ma non hanno la forza di aprire la strada al Centro-Sinistra.

La dissoluzione, in Francia, della Quarta Repubblica e la parallela sconfitta della sinistra democratica transalpina sono fenomeni ai quali L. assiste con preoccupazione, sia per i loro risvolti negativi sul piano dell’integrazione europea, sia perché rivelano – più in generale ed anche a proposito d’una nazione come l’Italia – una «grande difficoltà», per i «partiti e [per gli] uomini democratici che vivono in paesi nei quali allignano reazione e fascismo da una parte e comunismo dall’altra», ovvero «non prendere complicità con l’una e con l’altra forza» (VR, 31 maggio 1958). Il gollismo, con la sua forte propensione al contempo nazionalista ed anticomunista, convince ancor più L. della necessità dell’ingresso dei socialisti nell’area di governo, mentre affascina e stimola una variegata area politica italiana – nella quale rientra anche Pacciardi – che si rafforza quindi nell’idea di non dover affatto “aprire” a sinistra.

Al XXVI Congresso nazionale del PRI, tenutosi a Firenze nel novembre e caratterizzato da una irriducibile opposizione fra L. e Pacciardi, quest’ultimo subisce però una netta sconfitta, mentre la maggioranza dei delegati accorda la sua fiducia all’alleanza fra L., Macrelli e Reale.

In quegli anni, L. ha polemiche ricorrenti con Sturzo a proposito della maggiore o minore opportunità dell’intervento pubblico in Italia. Ritenendo a più riprese datato l’approccio di Sturzo e, lato sensu, dei liberisti – i quali si rapportano ai problemi dell’economia contemporanea ricorrendo ad un armamentario teorico «dei tempi del tram a cavallo e non dei tempi dell’aeroplano e del missile» – L. ribadisce che «il problema del mondo moderno, almeno per quel che riguarda l’Occidente, non è di contrapporre l’economia di mercato all’intervento dello Stato, ma di considerare i due fattori come le lame di una forbice che, solo esistendo entrambe, fanno esistere la forbice» (Un problema mal posto, VR, 18 gennaio 1958, in Scritti 1953-1958, pp. 842-843).