Biografia 1946-1953

1946
PARTITO D’AZIONE AL CONGRESSO
DEL CINEMA ITALIA
Manifesto del Partito d’Azione per il voto del 2 giugno

Dal 9 gennaio al 20 febbraio 1946, nel primo governo De Gasperi, La Malfa, già al Ministero per la Ricostruzione, diventa Ministro del Commercio con l’Estero.

Dal 4 all’8 febbraio si svolge a Roma, al Cinema Italia, il Congresso nazionale del Pd’A. Lo scontro frontale è fra La Malfa e Lussu. Quest’ultimo conferma l’idea del Pd’A come di un terzo partito socialista, cui La Malfa contrappone l’idea che il Pd’A debba avere le caratteristiche di un partito democratico senza aggettivi. Il clima del Congresso è infuocatissimo. Scriverà Luigi Meneghello in una bellissima pagina delle sue memorie: «Al Congresso finale a Roma [del Pd’A] ci fu un dibattito affascinante e a tratti veramente drammatico. Per un verso era il massimo dei dibattiti, l’unico importante, forse l’unico possibile: per un altro fu solo una piccola sacra rappresentazione tra uno sparuto gruppetto di intellettuali italiani… Mi piacque Leo Valiani / parlava con un accento non sapevo se Dalmata, o dai campi di concentramento: bravo ma un po’ troppo vibrante. Ovviamente maestro era La Malfa, e anche Lussu era maestro, ma insegnavano cose quasi opposte… Lussu al Congresso parlò cinque ore… Qualcosa non andava in questo compagno arcigno e ardente, aveva l’impressione di un relitto spigoloso trascinato da correnti incrociate. Poi venne, come portato dai frangenti della nostra passione etico-politica, Ugo La Malfa, una emblematica creatura, un cigno nero (piegava armoniosamente la testa di qua e di la): ma a metà del suo discorso, che durò tre ore, Franco mi disse sotto voce: “el spaca tuto” e io rabbrividii un po’ di dolore un po’ di curiosità» (Meneghello 1988, pp. 66-67).

Convinto ormai del prossimo esaurirsi dell’esperienza del Pd’A e messo in minoranza alla fine del Congresso di Roma, La Malfa abbandona il partito assieme a Parri e ad un drappello di dirigenti del Pd’A, fra gli altri, Adolfo Omodeo, Mario Paggi, Luigi Salvatorelli, Giulio Bergmann, con i quali dà vita al Movimento per la Democrazia Repubblicana, che di lì a poco confluisce nella Concentrazione Democratica Repubblicana (CDR). Il gruppo, secondo La Malfa, deve avere l’ambizione, nella crisi terminale del Pd’A e «prima delle elezioni per la Costituente», di riuscire a «gettare le basi di un partito della democrazia che si ponga fra i democristiani e i due partiti socialisti», garantendo così alla stessa Costituente «una base politica stabile ed equilibrata su cui costruire» (“Democrazia repubblicana”, Civiltà Liberale, marzo 1946, in La Malfa, Scritti 1925-1953, p. 364).

Nel referendum del 2 giugno La Malfa si batte per la Repubblica e si presenta nelle elezioni per l’Assemblea Costituente con la lista della CDR. Nonostante la grande qualità dei suoi militanti e dirigenti, fra gli altri Francesco Flora, Guido De Ruggiero, Gino Luzzatto, Carlo MuscettaLionello VenturiGiorgio CandeloroEugenio Garin, il partito ha un risultato modesto e riesce ad eleggere solo La Malfa e Parri, i quali il primo luglio entreranno a far parte nel gruppo repubblicano parlamentare dell’Assemblea Costituente.
L’8 settembre La Malfa entra a far parte del Partito Repubblicano Italiano (PRI).
Anche il Pd’A ha un risultato modesto: eleggerà sette deputati all’Assemblea Costituente e nel corso del 1947 deciderà il proprio scioglimento.  Dal 24 settembre 1946, fino al 31 gennaio 1948, La Malfa presiede la Seconda Commissione Finanze e Tesoro dell’Assemblea Costituente.

1947
Il XIX˚ Congresso Nazionale del PRI
IV Governo De Gasperi

L’11 gennaio, a seguito della scissione del partito socialista detta “di Palazzo Barberini”, nasce il Partito Socialista Democratico Italiano (PSDI), di cui Giuseppe Saragat sarà il leader.

La Malfa partecipa al XIX˚ Congresso Nazionale del PRI che si tiene a Bologna dal 17 al 20 gennaio. Nel Congresso interviene in polemica con Giovanni Conti, sostenitore della scelta governativa dei repubblicani, e manifesta una sintonia con le posizioni di Randolfo Pacciardi, che sarà eletto segretario politico del PRI. Al termine del Congresso, La Malfa è escluso dall’esecutivo ma ottiene la guida del segretariato per il Mezzogiorno.

Il 14 marzo 1947 La Malfa presenta un ordine del giorno alla commissione finanze e tesoro della Consulta, da lui presieduta, che contiene un grave allarme sulla crescita della spesa pubblica e l’aumento del deficit dello Stato. Nel documento, approvato all’unanimità, la commissione «richiama l’attenzione del Governo sull’assoluta necessità… di arrestare l’aumento delle spese resistendo alle pressioni che da ogni parte si esercitano sul bilancio dello Stato; di controllare rigorosamente la situazione delle aziende autonome… e di tutti gli enti che dipendono direttamente o indirettamente dallo Stato o dallo Stato attingono i mezzi» (La Malfa, Scritti 1925-1953, p. 409 nota)

Nella discussione sulla Costituzione, La Malfa presenta una proposta per l’articolo 1, così formulata: «L’Italia è una Repubblica democratica fondata sui diritti di libertà e sui diritti di lavoro». Nonostante l’appoggio delle forze laiche, per l’opposizione dei comunisti e dei socialisti la formulazione è respinta.

Il 31 maggio entra in crisi il governo De Gasperi III. In accordo con Pacciardi, La Malfa ritiene che il Pri possa costituire una forza «cuscinetto per impedire che le due potenti chiese (quella democristiana e quella comunista) si cozzino con incalcolabile danno per la patria» (discorso tenuto a Cervia, 15 giugno 1947, in La Malfa, Scritti 1925-1953, p. 421), preservando la ancor fragile democrazia italiana da scosse troppo potenti.

Il PRI nel IV governo De Gasperi.
La disputa fra La Malfa e Togliatti
«…Molte volte tali frasi indicano uno stato d’animo e una politica, onorevole Togliatti, che guarda moto avanti»

Nel maggio matura la rottura dell’unità dei partiti del CLN. Cade il governo De Gasperi III e il 1˚ giugno si forma il IV governo De Gasperi (in carica fino al 12 maggio 1948) da cui vengono esclusi comunisti e socialisti. Del governo fanno parte, oltre a democristiani, socialdemocratici e liberali e, non ancora in rappresentanza del Partito Repubblicano, Carlo Sforza come Ministro degli Esteri. Il 15 dicembre, a seguito di un’intesa raggiunta tra il Partito Repubblicano e De Gasperi e di un colloquio con l’ambasciatore americano James Clement Dunn, il PRI entra ufficialmente nel governo. Randolfo Pacciardi è nominato vicepresidente del Consiglio. Nel dibattito parlamentare che segue l’ingresso dei repubblicani nel governo, La Malfa interviene rispondendo direttamente a Palmiro Togliatti che aveva mosso un’aspra critica al Partito Repubblicano per questa sua decisione. In un discorso in Parlamento del 19 dicembre che ripercorre le divisioni che vi erano state anche nel CLN, La Malfa dice: «La verità è che il Partito comunista, quando ha impostato la lotta politica della liberazione, non ha avuto gli stessi obiettivi che noi democratici abbiamo avuto, non ha impostato il problema politico come noi lo abbiamo impostato… Non credo che l’onorevole Togliatti possa dire di avere avuto ragione quando è venuto alla soluzione della luogotenenza, fatto retrospettivo, ma che ha importanza sul giudizio che l’onorevole Togliatti dà della situazione». Aggiunse poi in quel discorso: «Noi tenteremo di riannodare i fili della unità democratica. Naturalmente nelle condizioni reali in cui operiamo perché non abbiamo posizioni astratte né possiamo averle… Interruzioni di Togliatti: Con le frasi non si fa una politica Risposta La Malfa: Molte volte tali frasi indicano uno stato d’animo e una politica, onorevole Togliatti, che guarda moto avanti» (La Malfa, Discorsi parlamentari, vol. 1, pp. 123 e 125)

Ad ottobre, nelle elezioni comunali di Roma, La Malfa è eletto Consigliere comunale. È chiamato a far parte, con Giuseppe Chiostergi e Giulio Andrea Belloni, di un “triumvirato” che deve preparare il XX˚ Congresso del PRI.

1948
LA MALFA E IL CENTRISMO DEL PRI
«…se nel 1948 la Democrazia Cristiana fosse stata lasciata sola, la situazione italiana avrebbe potuto evolvere verso una dittatura»
La Voce Repubblicana, 14 dicembre 1948

Al termine del XX˚ Congresso del PRI, tenutosi a Napoli dal 16 al 18 gennaio, La Malfa è eletto nella Direzione nazionale insieme, fra gli altri, a Oronzo Reale, da poco rientrato nel PRI, dopo l’esperienza nel Pd’A. Nel 1949 Reale diventerà Segretario del partito.
Nelle elezioni del 18 aprile, dominate dallo scontro ormai aspro fra gli Stati Uniti e l’Unione Sovietica nel clima della “guerra fredda”, la DC ottiene, con il 48,5% dei voti, 305 seggi su 574. Il Fronte popolare dei comunisti e dei socialisti, con il 31%, ottiene 183 seggi. I repubblicani scendono, dal 4,4% e ventitré seggi nelle elezioni del 2 giugno 1946 per la Consulta, al 2,5% eleggendo nove deputati. La Malfa viene eletto in Emilia Romagna nella circoscrizione Bologna, Ravenna, Forlì e Ferrara, nella quale verrà rieletto in tutte le successive campagne elettorali. È eletto presidente della Commissione Finanze e tesoro della Camera dei deputati.

Nell’acceso e immediatamente successivo dibattito interno al PRI, La Malfa prende una posizione critica verso i due maggiori esponenti del Partito Repubblicano in quella fase: in polemica con Conti, che critica la partecipazione dei repubblicani al governo e che nel 1949 si dimetterà dalla Direzione del partito e dalla presidenza del gruppo parlamentare al Senato, difende questa scelta; nello stesso tempo si distanzia dalla posizione di Pacciardi, che tende a imprimere una forte connotazione anticomunista alla partecipazione del PRI ai governi guidati da De Gasperi. La Malfa spiegherà, in un importante articolo sul Mondo del 15 ottobre 1955, che, se nel 1948 la Democrazia Cristiana fosse stata lasciata sola, la situazione italiana avrebbe potuto evolvere verso una dittatura, e che i partiti laici avevano fatto il loro dovere nel collaborare con la DC «tra una zoppa democrazia e la minaccia di una spietata dittatura» (“Don Sturzo e i partiti laici”, Il Mondo, 15 ottobre 1955, in La Malfa Scritti 1953-1958, p. 457). La Malfa, cioè, interpreta il centrismo come una fase di consolidamento della democrazia parlamentare della Repubblica e come una necessaria fase in preparazione di condizioni che consentano un allargamento della base democratica del paese.

Il 14 luglio Togliatti viene ferito in un attentato davanti alla Camera dei deputati. La Malfa contrasta le ipotesi più repressive sostenute dal Ministro dell’Interno, Mario Scelba, nei confronti delle proteste e delle manifestazioni popolari seguite all’attentato, ricordando che l’asprezza dei conflitti politici e sociali è direttamente proporzionale all’urgenza di radicali riforme.

LA MALFA DELEGATO A MOSCA

Nel luglio si reca a Mosca come capo della Delegazione italiana per le riparazioni di guerra e gli accordi commerciali con l’URSS. Dopo cinque mesi di permanenza nella capitale sovietica, il 13 dicembre La Malfa conclude con successo un negoziato molto complesso. Il giudizio dell’ambasciatore italiano a Mosca, Manlio Brosio, futuro Segretario Generale della Nato, liberale-conservatore e per nulla incline a un giudizio adulatorio, scriverà: «Il merito del risultato risale soprattutto alla tua volontà, e alla tua tenacia che nei momenti decisivi sa essere inflessibile. In fin dei conti non ti conoscevo abbastanza prima di quest’incontro: ed ho potuto apprezzare in te una qualità decisiva, ossia quella di intuizione politica rapidissima, di visione creativa, e di irriducibile volontà» (lettera di Brosio a Ugo La Malfa del 3 gennaio 1949: ACS, CLM, b. 8, f. 30/2 in Soddu 2008, p. 165).

Nel dicembre viene nominato Vice-governatore del Fondo Monetario Internazionale e si reca a Washington per la sua prima visita negli Stati Uniti.

Sergio Telmon riferisce il giudizio di La Malfa sulla società sovietica dopo la sua missione in Russia: «A me, che vengo da un’area depressa come la Sicilia occidentale, a Mosca mi sentivo in casa mia» (Telmon 1983, p. 86). La Malfa mantenne sempre l’opinione che l’Unione Sovietica non avesse nessuna possibilità di competere con gli Stati Uniti sul piano delle conquiste di una civiltà avanzata. Che si potesse immaginare il comunismo come una scorciatoia per lo sviluppo di una società depressa diventerà uno dei temi della sua discussione con il PCI, ma questo poneva il problema di che cosa volesse dire essere comunisti in una società avanzata. Questo fu l’argomento del celebre dibattito con Pietro Ingrao a Ravenna nel 1965.

1949
LA MALFA SOSTIENE L’ADESIONE DELL’ITALIA AL PATTO ALTLANTICO
«…accanto agli Stati Uniti… nasce una nuova Europa»
Seduta della Nato, 1949

Il 4 aprile viene firmato a Washington il Trattato Nord-Atlantico, meglio conosciuto come Patto Atlantico o NATO (North Atlantic Treaty Organization). L’Italia fa parte dei dodici firmatari originari. Cardine del trattato è l’articolo 5 per il quale «Le parti convengono che un attacco armato contro una di esse in Europa o nell’America Settentrionale sarà considerato come un attacco diretto contro tutte le parti e di conseguenza convengono che…ciascuna di esse…assisterà la parte o le parti così attaccate intraprendendo immediatamente, e individualmente e di concerto con le altre parti, l’azione che giudicherà necessaria, ivi compreso l’uso della forza armata».

Nella seduta del 14 marzo, La Malfa interviene a sostegno dell’adesione dell’Italia al Patto Atlantico. In apertura del discorso dice: «Dalla guerra non sorge un fronte capitalistico, ma accanto agli Stati Uniti, aventi di per sé una potenza bastante a contrapporsi alla potenza Sovietica, nasce una nuova Europa…cui certe civiltà tradizionali, come l’Inghilterra, la Francia, l’Italia, nonché perire trovano modo di resistere e di sopravvivere» (La Malfa, Discorsi parlamentari, vol. 1, p. 157). Rifacendosi alla sua tesi sulla necessità di associare la Germania alla ricostruzione dell’Europa esposta nel 1944, ricorda la polemica con Togliatti avvenuta subito dopo quell’articolo, in cui aveva sostenuto che «la Germania deve rinascere, ma deve rinascere in un quadro europeo, in un sistema di unità europea, in cui la sua funzione di stato dominante, quindi, di stato pericoloso per la Russia Sovietica non sia più esercitabile. Ecco perché a mio giudizio deve rinascere una Europa franco, anglo, italiana forte. Siccome non possiamo privare la Germania al suo diritto all’esistenza, dobbiamo trovare la forza equilibratrice, perché questa Germania non rappresenti una punta verso di noi e verso l’Unione Sovietica. (Ibid., p. 161).

In aprile La Malfa partecipa a Firenze al III˚ Congresso nazionale del Movimento Federalista Europeo (MFE). Dissente dalla posizione del movimento di includere nel Consiglio d’Europa (CdE), anche personalità dei paesi dell’Europa orientale finiti nell’orbita sovietica. Sostiene che l’unità europea, come aveva scritto in un articolo del 9 marzo sulla Voce Repubblicana, deve essere fatta fra «gli Stati che hanno in comune un regime di democrazia» (“Passi Falsi a Bruxelles”, in La Malfa, Scritti 1925-1953, p. 495).

IL PIANO MARSHALL E IL MERIDIONALISMO
«La questione che l’Italia si deve porre all’ordine del giorno è di fare delle due Italie una sola Italia»

In giugno scrive per Il Mondo di Mario Pannunzio l’articolo “Come fare l’Europa”. Inizia così la sua collaborazione con il settimanale, nato nel febbraio precedente, dal quale lancerà molte delle sue battaglie politiche.
Il 2 luglio tiene un discorso in Parlamento «sulla politica di bilancio per l’anno finanziario 1949-1950» in cui precisa le sue posizioni sul Piano Marshall e sul connesso problema dello sviluppo del Mezzogiorno (La Malfa, Discorsi parlamentari, vol. 1, pp. 183-201). In polemica con la tesi di coloro i quali sostenevano che gli aiuti del Piano Marshall dovessero essere commisurati ai disavanzi dei bilanci di pagamento, La Malfa sostiene la necessità che questi aiuti consentano l’avvio di politiche di espansione economica in grado di affrontare i problemi aperti dell’economia e della società italiana: «…noi, per il futuro, abbiamo la possibilità, espandendo i nostri scambi con l’estero e se il popolo americano ci aiuta, come ha fatto finora, di convertire gli aiuti Marshall in aiuti trasformabili in investimenti. E allora fino alla fine del piano Marshall noi potremmo avere quel volume di investimenti integrativo delle nostre possibilità interne, perché alcuni problemi che ci angustiano, alcuni problemi di espansione delle spese statali possano essere risolti» (La Malfa, Discorsi parlamentari, vol. 1, p. 199).

Nello stesso intervento collega i finanziamenti del Piano Marshall al problema del Mezzogiorno: «Se vogliamo risolvere problemi, se vogliamo affrontare il problema del Mezzogiorno…se noi vogliamo andare incontro alle aree depresse, noi evidentemente dobbiamo pensare a investimenti statali, disporre di un volume di investimenti statali che ci possa consentire di affrontare quei problemi. E ciò può derivare solo dal fatto che gli aiuti Marshall diventino aiuti integrativi e non condizionati all’andamento della nostra bilancia dei pagamenti» (Ibid., p. 201)
Aggiunge ancora sul problema del Mezzogiorno: «La Valle Padana è diventata sempre più una manifestazione di alta civiltà nella vita del mondo. Ma, onorevoli colleghi, il problema del Mezzogiorno lo abbiamo trascurato quando non avevamo le industrie e quando avevamo le industrie, quando non avevamo le grandi fabbriche e quando le avevamo. Se il reddito aumenterà del 5 per cento all’anno e nel 1952 del 15 per cento, ma quello che separa le due zone di vita italiana rimarrà a separarle, noi avremmo fatto ben poco, vi sono due Italie: un’Italia che progredisce e un’Italia che sta ferma. […] La questione che l’Italia si deve porre all’ordine del giorno è di fare delle due Italie una sola Italia» (Ibid.).

Il 26 luglio diventa membro dell’Assemblea del Consiglio di Europa, che era stato istituito il 5 maggio con il Trattato di Londra.

1950
IL VI GOVERNO DE GASPERI
CERIMONIA DI GIURAMENTO

Sulle prospettive politiche che possono aprirsi con la formazione del VI governo De Gasperi, scrive La Malfa il 22 gennaio: «Una parte della stampa ha finalmente compreso quale carattere i repubblicani volessero imprimere all’attuale crisi di governo. […Si trattava] di stabilire se il governo [deve] continuare a costituire soltanto una linea di sbarramento, uno schieramento difensivo, una sorta di dura e ostinata resistenza verso le forze social-comuniste o…assumere una fisionomia più attiva, più audace. […] Per i repubblicani la risposta non poteva essere dubbia. L’ingresso nel Patto Atlantico, il consolidamento delle libertà democratiche, la stabilità monetaria sono stati – ripetiamo – tappe mirabili di un’opera lungamente e tenacemente difensiva. Ma prima o poi sarebbe stato necessario…aggiungere a quest’opera qualcos’altro. […] Politica economica più attiva, riforme sociali, rinnovamento della macchina statale dovrebbe essere l’espressione tecnica di uno schieramento politico che…offra – diciamolo chiaramente – una base di partenza per nuovi schieramenti, che un giorno o l’altro – se il futuro dell’Italia non sarà oscuro – dovranno pure avverarsi» (“Schieramento di battaglia?”, La Voce Repubblicana, in La Malfa Scritti 1925-1953, pp. 577-578).

Il 27 gennaio, con la nascita del VI governo De Gasperi (16 luglio 1951), La Malfa entra a far parte dell’esecutivo, dapprima come Ministro senza portafoglio – fino al 5 aprile 1951 – con delega per il Coordinamento delle partecipazioni statali e dei programmi per il Mezzogiorno e le aree depresse, e successivamente come Ministro del Commercio con l’estero, dicastero al quale ritorna dopo la breve esperienza del 1946 e che reggerà fino al 16 luglio 1953, essendo stato riconfermato in tale ruolo nel governo De Gasperi VII (26 luglio 1951 – 19 giugno 1953).
Il 31 gennaio, dopo la nomina a Ministro, riceve da Palmiro Togliatti un biglietto manoscritto in cui si legge: «Caro La Malfa! E con chi discuteremo, ora che sei ministro?» (Ugo La Malfa. Mostra 1981, p. 162). La Malfa risponde: «E te ne lamenti?».

Nell’Intervista a Ronchey, La Malfa spiegherà che con il VI governo De Gasperi «venne quello che io considero il periodo più costruttivo della vita italiana in cui si impostarono alcune cose di fondamentale importanza. […] Anzitutto la siderurgia rinnovata, quella siderurgia che era stata la palla di piombo dello sviluppo industriale in Italia. Poi la scoperta e l’uso delle risorse di metano in grande quantità…poi si ebbe la Cassa per il Mezzogiorno, ricordando l’esperienza americana della Tennessee Valley, e poi la riforma agraria, oltre all’inizio della riforma tributaria di Vanoni» (La Malfa, Intervista 1977, pp. 38-39). Fra queste riforme, cruciale sarà, nel 1951, la “liberalizzazione degli scambi” fatta dallo stesso La Malfa, di cui oltre.

Il 7 maggio, in un discorso a conclusione del quinto Congresso emiliano romagnolo del PRI a Ravenna, La Malfa indica la posizione politica del partito sul governo: «Quando si è presentata questa crisi noi sapevamo che si apriva una nuova svolta nella vita politica. Creata la Repubblica, consolidate certe posizioni politiche democratiche, delineata la politica estera dell’Italia, era necessario che nel nostro paese si approfondisse l’azione del governo e dei partiti nel senso di una politica sociale capace di riforme, capace di progressi e quasi di creare veramente un’articolazione democratica nel nostro paese. […] Il Partito repubblicano ha dichiarato decaduta la formula del 18 aprile come formula che legava quattro partiti al governo, dal partito liberale al partito socialista. Il Partito repubblicano ha dichiarato che se il governo, i partiti della maggioranza, desideravano affrontare alcuni problemi impellenti della vita Italiana, come il problema del Mezzogiorno, il problema della riforma agraria, il problema della riforma regionale, il problema di una politica di investimenti capace di combattere la disoccupazione, questo governo doveva avere un’accentuazione sociale a sinistra…se queste riforme avranno soluzione, il Partito repubblicano vuole avere l’orgoglio di essere stato al governo e di averle fatte» (La Malfa, Scritti 1925-1953, pp. 595 e 598).

Dal 18 al 21 maggio si tiene il XXII˚ Congresso Nazionale del PRI a Livorno. Oronzo Reale viene confermato alla segreteria.

LA RIFORMA AGRARIA, LA CASSA PER IL MEZZOGIORNO

Insieme con la legge di Riforma agraria, che viene approvata nel corso di questa legislatura, l’istituzione della Cassa per il Mezzogiorno, approvata il 10 agosto (legge nr. 646), dà una caratterizzazione sociale avanzata a questa fase dell’esperienza politica del centrismo che La Malfa considerò qualificante dell’azione di governo.

Il 5 novembre, in un comizio ad Ancona, La Malfa descrive le condizioni del Mezzogiorno: «…vi parlerò della visita che come repubblicano e come ministro, ho sentito il dovere di compiere al comprensorio della Sila, sul quale si sta svolgendo l’opera di rinnovamento sociale iniziata dal governo. Ho visitato il comprensorio della Sila e ho visto il volto dell’Italia monarchica, di quell’Italia monarchica che in settantacinque anni non ha fatto nulla per dare possibilità di vita degna di uomini a quelle popolazioni diseredate. Gli italiani del nord, voi marchigiani, non potete avere idea di cosa sia la vita della popolazione della Sila, la vita in paesi e villaggi, senza acqua, senza fogne, in mezzo a immense distese di terreni non coltivati privi di strade; non potete comprendere quale aspetto addirittura bestiale abbia la vita di quella gente. Quando ho visitato quei paesi e quei villaggi, mi sono addirittura vergognato non solo di essere ministro, ma addirittura di essere italiano, se l’Italia aveva dimenticato a tal punto dei suoi cittadini» (La Malfa, Scritti 1925-1953, p. 614).

1951
PARTECIPAZIONI STATALI E IRI,
LA PROPOSTA DI LA MALFA
Ugo La Malfa all’inaugurazione della IV˚ mostra Interprovinciale del Tirreno. Carrara, 12 agosto 1951, FULM, Archivio Fotografico, Scatola6_1117

Il 9 aprile presenta in Consiglio dei Ministri una relazione sul riordino delle partecipazioni statali, nel quale delinea la razionalizzazione di questo comparto e la costituzione di un apposito dicastero (cfr. La Malfa, Scritti 1925-1953, pp. 644-692). Dirà nell’Intervista a Ronchey: «La proposta conclusiva era quella di ricondurre tutte le partecipazioni statali, comprese quelle amministrate dal Demanio, sotto il controllo esclusivo dell’IRI, organizzandole per settori sotto il controllo intermedio di società finanziarie. L’IRI [Istituto per la Ricostruzione Industriale, costituito nel 1933 per far fronte alla grande crisi bancaria di quel tempo, era stato presieduto da Alberto Beneduce e diretto da Donato Menichella fino a quando questi, nel 1945, non era stato nominato Direttore generale della Banca d’Italia] aveva una tradizione, dovuta a Menichella, di corretta e abile amministrazione. Io temevo che…si corresse l’alea della proliferazione degli enti di gestione..., subito dopo, per l’appunto nacque il problema della costituzione dell’ENI [Ente Nazionale Idrocarburi] e in Consiglio dei ministri…io feci espressa riserva. […] Nel documento proposi anche la costituzione di un ministero delle partecipazioni statali, ma non concepito come un’amministrazione ordinaria, bensì come organo politico» (La Malfa, Intervista 1977, p. 43).

In ottobre, al Consiglio nazionale del PRI, propone una costituente programmatica fra i partiti laici con l’obbiettivo non solo di ridurre la frammentazione delle forze che si collocano fra la DC e i socialcomunisti, ma anche per rafforzare la spinta riformatrice dei governi rispetto alle correnti più conservatrici della Democrazia Cristiana. Dentro al Partito Repubblicano comincia a crearsi una dialettica di posizioni fra i sostenitori del centrismo, come posizione indiscutibile e uno sguardo volto alla possibilità dell’allargamento della maggioranza nella direzione del Partito Socialista.

LA LIBERALIZZAZIONE DEGLI SCAMBI

Nel novembre predispone il Decreto del Presidente della Repubblica (1˚ novembre 1951, nr. 125) intitolato “Riduzione dei tassi doganali in vigore e nuova aggiunta alle norme temporanee per la prima applicazione della nuova tariffa doganale”. Il decreto, approvato dal Consiglio dei ministri e pubblicato sulla Gazzetta ufficiale del 3 novembre, contiene una estesa “liberalizzazione degli scambi”. La proposta di La Malfa, fortemente condivisa da De Gasperi da Ezio Vanoni, allora Ministro delle Finanze, e dal Governatore della Banca d’Italia Menichella, viene approvata dal Consiglio dei ministri nonostante la forte opposizione dei ministri democristiani del Bilancio e dell’Industria, Giuseppe Pella e Pietro Campili, e l’aspra opposizione della Confindustria e della CGIL. L’accusa fu che questo provvedimento avrebbe determinato una vasta crisi industriale e un aumento vertiginoso della disoccupazione.

Come ricorda Guido Carli nelle sue memorie Cinquant’anni di vita italiana, gli accordi successivi del Piano Marshall prevedevano che se un paese avesse avuto un forte avanzo della bilancia dei pagamenti, avrebbe dovuto correggere questa situazione o imponendo dei limiti alle esportazioni o aumentando il volume delle importazioni attraverso una riduzione dei contingenti, cioè delle limitazioni quantitative delle importazioni, o i dazi doganali. Altri paesi, come il Belgio, nella stessa situazione erano ricorsi alla riduzione dell’importazioni. La Malfa, scrive Carli, «scelse coraggiosamente la strada opposta: revocare tutti i limiti quantitativi alle importazioni e ridurre i dazi del 10%. In questo modo l’aggiustamento sarebbe avvenuto con un aumento delle importazioni senza passare per una riduzione della nostra capacità esportativa… Era una strada rischiosa… Quella del primo novembre 1951 fu una scelta storica, che forse resta il contributo più importante e duraturo di La Malfa al Paese. Il suo coraggio fu proporzionale alle opposizioni che quel provvedimento incontrò. Tutti contro. Gli industriali gridavano a una bizzarria suicida. I tessili soprattutto strepitarono, ma anche Valletta protestò… La Malfa ebbe contro anche la burocrazia del Ministero che tentò di boicottare il provvedimento… Si trattò di una decisione innovativa anche a livello europeo… l’Italia fu il paese in assoluto con il più basso grado di protezionismo “esterno”. Al 31 dicembre 1953 era stata liberalizzata l’importazione del 99.8% dei prodotti agricoli, del 100% delle materie prime, del 99% dei manufatti e semilavorati di provenienza UEP. La Svizzera aveva un grado di apertura complessivo del 62,2%, il Belgio del 60,8%, il Regno Unito del 75%, la Germania del 79,4%. Ma la Francia non superava di molto il 18%» (Carli 1953, pp. 116-117).

Racconterà La Malfa a Ronchey: «Fui mosso da due convincimenti: la visione meridionalista, ovvero l’idea di stimolare con la concorrenza il sistema economico… e una certa intuizione della capacità nazionale di andare sui mercati, della possibilità di dare finalmente respiro, sprigionare energie complesse. […] Ma ci fu una terza ragione. La mia esperienza nell’amministrare i contingenti mi aveva dato subito l’impressione che lì si annidava una degenerazione…mi ricordo la prima sera [da Ministro]. Era consuetudine che io portassi a firmare quei permessi. Io semplicemente mi rifiutai. Chiamai il direttore generale e dissi: ‘vi darò istruzione sui criteri generali che dovete applicare esaminando le pratiche. Ma firmerete voi…perché il potere discrezionale con cui l’autorità politica governa, il richiamare a sé tutte le richieste di concessioni costituisce un cattivo esercizio della potestà di governo» (La Malfa, Intervista, 1977, p. 40-41). E aggiungerà: «Quando il ministro dell’economia della Germania occidentale Ludwig Erhard venne alla Fiera di Milano mi domandò come avevo avuto quel coraggio. Anche all’OECE furono meravigliati» (Ibid., p. 42).

Il 17 dicembre, a Milano, è relatore ad un convegno del PRI sul tema “Fondamenti di una politica economica sociale democratica”. In questo intervento è evidente lo sforzo di La Malfa di collegare alcune idee della tradizione mazziniana con le elaborazioni del pensiero economico contemporaneo e con le esperienze politiche del New Deal di Roosevelt e dei laburisti inglesi e dei socialisti del Nord Europa: «Che cosa ha caratterizzato, nei paesi più avanzati della civiltà occidentale il passaggio dall’era capitalistica più cruda, dal liberalismo economico più assoluto alla democrazia economica odierna, a una società che può definirsi mazziniana e fabiana insieme? [...] È qui il punto di incontro tra l’intuizione di Mazzini e certe scoperte del pensiero economico moderno, tra una profonda coscienza sociale e una concezione dello Stato e dell’economia che risolve queste antitesi trasformandole in leve per la redenzione umana. […] Noi oggi intuiamo che il programma del partito di Mazzini non è soltanto nell’affermare di voler risolvere il problema dei più umili, dei diseredati, di coloro che soffrono, perché non si può essere mazziniano senza voler questo – ma soprattutto nell’individuare gli strumenti tecnici ed economici per realizzare questi obiettivi. L’aggiornamento del programma repubblicano non riguarda dunque i suoi fini che sono eterni e immutabili…ma gli strumenti idonei a realizzarli…e noi abbiamo tanto più fretta in quanto sentiamo che l’Italia non è storicamente nel pieno di quella civiltà da cui Mazzini prese le mosse…l’Italia ha due strutture due economie, due società (La Malfa, Scritti 1925-1953, pp. 716-717).

1952
I PRIMI PASSI DELL’EUROPA UNITA
Firma del Trattato di Parigi, 18 Aprile 1951

A Bari, al XXIII˚ Congresso Nazionale del PRI (dal 6 al 9 marzo), La Malfa interviene con una relazione che riassume e ripropone l’intervento del convegno del 1951.
Il 22 marzo in un articolo sul Mondo intitolato “Un programma in comune”, rilancia l’idea di una piattaforma comune tra socialdemocratici, liberali e repubblicani. Premette che serve un chiarimento in seno al partito liberale tra le posizioni conservatrici e le posizioni più avanzate, come quelle espresse da Niccolò Carandini. Se così fosse: «I tre partiti laici potrebbero trattare unitamente e unitariamente con il partito di maggioranza le modalità e i termini della loro lotta comune ed il contenuto concreto di una loro azione solidale per tutto il corso della seconda legislatura repubblicana» (in La Malfa, Scritti 1925-1953, p. 763).

Il 23 luglio 1952 entra in vigore il Trattato di Parigi, firmato il 18 aprile 1951 che istituisce la Comunità europea del carbone e dell’acciaio (CECA). Il Trattato di Parigi rappresenta il primo passo formale del cammino verso la costruzione della Unione Europea. Nasce da una lettera di Robert Schuman, del 9 maggio 1950, nella quale il ministro francese propone che Francia e Inghilterra mettano in comune le risorse del carbone e dell’acciaio.

L’11 maggio 1952, nel corso della campagna elettorale per le elezioni comunali che avevano visto il tentativo di Luigi Sturzo di promuovere un’alleanza organizzata della DC con Monarchici e fascisti, nota come “Operazione Sturzo”, cui si era opposto fermamente De Gasperi, La Malfa parla al teatro Metropolitan di Roma. Nel suo discorso inquadra il problema economico italiano nella situazione internazionale, ritorna sulla questione del Mezzogiorno e presenta riflessioni molto significative sulla Russia. Dice, in particolare, che si può comprendere la presa del comunismo in un paese dalle condizioni feudali e arretrate come è la Russia, «ma nella Russia che ho visitato c’era anche l’immagine dello Stato totalitario accentratore: c’era la polizia, c’era tutta l’organizzazione dello Stato che ti opprime…la Russia non si era occidentalizzata. […] Il dramma del Mezzogiorno è il problema dell’Italia: […] pur essendo in condizioni quasi orientali di vita, nella sua cultura nelle sue espressioni migliori aspira ad una vita occidentale e l’Italia deve dargli questa vita» (La Malfa, Scritti 1925-1953, p. 774).

Il 27 maggio i sei paesi firmatari della CECA firmano a Parigi il trattato istitutivo della Comunità europea di difesa (CED) che rappresenta il passo più ambizioso del processo di unificazione europea, fallito nel 1954 per la mancata ratifica da parte del Senato francese. Dirà La Malfa nel corso di un convegno promosso dalla Confindustria a Venezia fra il 4 e il 6 giugno sul tema dell’unità europea: «Il nostro più fiero nazionalismo coincide con il nostro più tenace europeismo. Dal punto di vista politico il governo ritiene che l’Europa avrà raggiunto uno stadio di tranquilla stabilità politica, economica, sociale e spirituale quando sarà stato creato un potere sovrannazionale sugli stati europei. Quando si sarà raggiunta una vera ed effettiva federazione europea. Il governo italiano ha sostenuto che [la Comunità di Difesa] non potesse avere senso e scopo e carattere e impegno ideale e morale se non fosse manifestazione di un potere politico soprannazionale.» (La Malfa, Scritti 1925-1952, p. 793).

In vista delle elezioni politiche previste per il 1953, i partiti di maggioranza presentano in Parlamento una nuova legge elettorale nella quale è previsto un premio di maggioranza – quella che verrà poi conosciuta come la “legge truffa”. Nel Consiglio nazionale del PRI del 18 ottobre, La Malfa difende il progetto di legge elettorale presentato dai partiti della maggioranza. «Con la riforma della legge elettorale – dice La Malfa – i democratici non chiedono di dar loro la maggioranza dei seggi…i partiti democratici non hanno voluto infrangere la legge fondamentale della democrazia, che la maggioranza governa, quantunque questo potesse esporli al rischio di non raggiungere la metà più uno dei voti. Chiedendo il cinquanta più uno per cento di voti essi pongono il popolo italiano di fronte le sue responsabilità. […] Come nel ’48 [è] lotta istituzionale della democrazia contro i partiti dell’antidemocrazia. […] Il paese deve decidere se vuole il fascismo, se vuole il comunismo e se vuole la democrazia. Mi sarei sentito in difficoltà a fare una campagna elettorale sulla maggioranza relativa ma non sento alcuna difficoltà morale a farla sulla maggioranza assoluta» (La Malfa, Scritti 1925-1953, p. 804).

La scelta provoca una grave crisi all’interno del partito e l’uscita nei mesi successivi di personalità come Ferruccio Parri e Oliviero Zuccarini, confluiti entrambi, nel 1953, nel movimento di Unità Popolare, e le aspre critiche a La Malfa di altri ex azionisti come Sergio SteveMax SalvadoriLudovico Ragghianti, nonostante difendano la riforma altri esponenti di quel mondo come Gaetano Salvemini, Altiero Spinelli e Ernesto Rossi.

1953
LA MALFA PREPARA IL CAMMINO DEL CENTROSINISTRA
«Nel ’53 io sentii che il centrismo era finito, aveva esaurito il suo compito storico»
Comizio di Randolfo Pacciardi negli anni Cinquanta a Forlì. Archivio storico della Camera dei deputati, Fondo “Randolfo Pacciardi”

La scena politica è dominata dal dibattito al Senato sulla legge elettorale. La Malfa racconterà a Ronchey: «Al Senato, il Presidente Ruini si impegnò in una durissima battaglia e con lui ci impegnammo tutti. Ruini fu persino ferito. C’era una tensione estrema. Lussu venne al banco del governo e tentò di schiaffeggiarmi. Comunque Ruini portò in salvo la legge» (La Malfa, Intervista 1977, p. 49). Subito dopo l’approvazione del Senato in Consiglio dei Ministri, il Ministro dell’Interno Scelba propose di sciogliere anche il Senato che, in base alla legge, non avrebbe dovuto votare nel 1953 ma solo nel 1954. La Malfa si domandò quale fosse la ragione di questa decisione che probabilmente contribuì a pregiudicare l’esito delle elezioni del ’53, inasprendo ulteriormente gli animi. Disse a Ronchey: «Mi ribellai all’impostazione di Scelba. Pacciardi non mi sostenne. Era favorevole allo scioglimento del Senato con De Gasperi forse era già d’accordo…e lì ci fu una rottura tra me e Pacciardi piuttosto notevole» (La Malfa, Intervista 1977, p. 50).

Alle elezioni politiche del 7 giugno, il PRI è apparentato con DC, PSDI e PLI in vista del tentativo di assicurare alla coalizione più del 50% dei voti e quindi poter godere del premio di maggioranza previsto dalla nuova legge elettorale. L’alleanza si ferma al 49,2%. Il PRI scende ulteriormente raggiugendo l’1,2% alla Camera e l’1% al Senato. Elegge cinque deputati e due senatori. La Malfa è rieletto alla Camera nella Circoscrizione XII di Bologna- Ferrara-Ravenna-Forlì.

A seguito delle elezioni, si apre nel Partito Repubblicano una lunga e difficile discussione sulle prospettive politiche. Si inasprisce il dissidio già emerso fra La Malfa e Pacciardi, l’uno sostenitore della necessità di intraprendere il cammino della maggioranza verso l’allargamento al Partito Socialista, l’altro fermo nell’idea che il centrismo costituisca una posizione dalla quale non si possa in alcun modo deflettere.
In questa fase il PRI lascia il governo e la maggioranza e si colloca in posizioni o di attesa o di aperta opposizione ai governi a guida democristiana. Comincia l’azione di La Malfa nella preparazione del centro-sinistra. Dirà a Ronchey: «Nel 53 io sentii che il centrismo era finito, aveva esaurito il suo compito storico. Frattanto sorgeva l’alternativa socialista. Nenni non parlava più di unità con i comunisti e questo coincideva con la sensazione che il prolungamento del centrismo non avrebbe portato più a niente» (La Malfa, Intervista 1977, p. 54).

Il 29 giugno al Consiglio Nazionale del partito, La Malfa, dopo l’insuccesso nelle elezioni, difende l’alleanza con la Democrazia Cristiana nel corso della legislatura precedente e sostiene che i partiti laici e in particolare i repubblicani hanno impedito, con la loro presenza nella maggioranza a fianco della DC, uno scivolamento a destra di questo partito. Dice polemicamente a Ferruccio Parri, che era uscito dal partito a seguito della “legge truffa”: «Battete la via dell’amico Parri e i fascisti o i monarchici o tutti e due insieme saranno i padroni dell’Italia» (La Malfa, Scritti 1953-1958, p. 11). «Quanto alle prospettive politiche – prosegue La Malfa in quell’intervento – il problema politico è di conservare immune questa forza democratica dai due fronti contrapposti. Rappresentare una forza di democrazia nel nostro paese: ecco il nostro compito avvenire» (Ibid., p. 13).

Il 6 ottobre La Malfa è eletto Presidente della Giunta per i trattati di commercio e per la legislazione della Camera dei deputati.
Il 24 novembre su Il Mondo, in un articolo intitolato “Una domanda a tre partiti” rilancia il tema dell’alleanza fra i partiti laici, cioè liberali, socialdemocratici e repubblicani, per creare un contrappeso più efficace al predominio della Democrazia Cristiana nell’ambito dell’alleanza di governo (La Malfa, Scritti 1953-1958, pp. 56-59). Questa proposta apre una dialettica in seno al Partito Liberale che porterà nel 1955 alla scissione della componente di sinistra ed alla nascita del Partito Radicale, molto più vicino alle posizioni dei repubblicani.