Biografia 1903-1929
Ugo La Malfa nasce a Palermo il 16 maggio 1903 da Vincenzo e da Filomena Imbornone. Il padre è un agente di pubblica sicurezza, che successivamente diventerà appuntato e poi maresciallo; la madre appartiene a una famiglia della piccola nobiltà siciliana, decaduta in seguito a rovesci economici.
Dalla madre, La Malfa e i suoi fratelli Renato (1905-1991) e Olga (1909-1986) apprendono sin dall’infanzia il valore della cultura e l’importanza dello studio, come strumento privilegiato per la loro affermazione sociale e individuale.
«Io, venuto dalla Sicilia, studiavo a Venezia…»
Frequenta le elementari, poi la scuola tecnica e si diploma ragioniere presso l’Istituto di ragioneria e commercio Filippo Parlatore. Dopo aver studiato privatamente ottiene anche la licenza liceale classica per avere accesso all’università.
Grazie al sostegno economico di una zia materna, Maria Gaglio, La Malfa si iscrive al Regio Istituto Superiore di Scienze Economiche e Commerciali di Ca’ Foscari e nel novembre si trasferisce a Venezia. In tarda età, ricorderà i sacrifici di quegli anni per garantirsi un’istruzione universitaria: «Io, venuto dalla Sicilia, studiavo a Venezia… avevo pochi soldi… La mia cena era di fichi secchi» (La Malfa, Intervista 1977, p. 2).
A Ca’ Foscari, La Malfa studia con Gino Luzzatto, professore di storia economica, con Francesco Carnelutti, professore di procedura civile ed esperto di diritto commerciale, e con Silvio Trentin, professore di istituzioni di diritto pubblico. Gino Luzzato fu il «tramite con [Gaetano] Salvemini, quindi con il meridionalismo e, più in generale, con la critica democratica al giolittismo» (Soddu 2008, p. 57); mentre, grazie a Trentin, suo «primo padre spirituale» (La Malfa, Intervista 1977, p. 5), La Malfa si orienta nettamente e precocemente verso l’antifascismo, iscrivendosi l’anno seguente alla sezione veneziana della Democrazia Sociale, raggruppamento politico e parlamentare del quale Trentin faceva parte e che dopo la marcia su Roma aveva affermato progressivamente la propria indisponibilità a sostenere un governo fascista.
Completati tutti gli esami e in attesa di laurearsi, La Malfa ottiene due borse di studio, grazie alle quali si trasferisce a Roma per frequentare alcuni corsi patrocinati dall’Associazione Italo-Americana e dall’Istituto Superiore di Commercio. Consegue, inoltre, un diploma presso l’Università Libera della Cooperazione, del Lavoro e della Previdenza Sociale. Attraverso Trentin, a Roma conosce Giovanni Amendola. Amendola, dirà La Malfa, «mi fece un’enorme impressione. Era un uomo di statura alta, dal viso severissimo, sembrava un pastore protestante. Dava il senso di un distacco profondo da interessi mediocri, il senso di un uomo impegnato in una grande battaglia di ordine anche morale» (La Malfa, Intervista 1977, p. 2). A marzo La Malfa contribuisce alla nascita dell’Unione goliardica per la Libertà (UGL), che verrà sciolta nel 1925. Nei mesi successivi al delitto Matteotti, l’UGL fu molto attiva nel formare e nel diffondere una coscienza antifascista nelle generazioni più giovani.
La Malfa frequenta Giorgio Amendola, figlio di Giovanni, Sergio Fenoaltea; Leone Cattani e molti altri che parteciperanno alla cospirazione antifascista. Conosce, inoltre, Luigi Salvatorelli e Guido De Ruggiero. Nel novembre, aderisce all’Unione Democratica Nazionale (UDN) fondata da Giovanni Amendola e promuove la confluenza in essa dell’UGL.
A maggio del 1925 La Malfa partecipa al primo Congresso dell’UDN. Pronuncia un discorso che nelle conclusioni Amendola cita, dicendo: «Abbiamo sentito questa mattina con viva soddisfazione e per conto mio dico con viva commozione un giovane il quale ci ha portato una delle prime voci che vengono da questo benefico al di là del dopoguerra…» (in Soddu 2008, p. 65). È eletto nel Consiglio nazionale dell’UDN; dedica al Congresso del partito un articolo apparso il 27 giugno sul periodico Il Risveglio, che segna l’inizio della sua lunga attività pubblicistica. Nel luglio, Giovanni Amendola viene brutalmente aggredito e ridotto in fin di vita dalle camicie nere; morirà a Cannes il 12 aprile 1926.
Avvalendosi delle “leggi eccezionali” del 3 gennaio 1925, il regime scioglie l’UDN. La Malfa fa parte, con Roberto Bencivenga, Mario Berlinguer, Guglielmo Ferrero e Mario Vinciguerra, della cosiddetta Pentarchia, che guida le ultime attività del partito fino al suo scioglimento ufficiale. Nel luglio rientra a Palermo e prende parte alla campagna elettorale per le elezioni comunali della città, che vedono la contrapposizione fra il partito fascista e l’Unione Palermitana per la Libertà (UPL), coalizione nella quale erano confluiti i demosociali, gli amendoliani e i socialisti unitari e che aveva ricevuto anche l’appoggio di Vittorio Emanuele Orlando. Le elezioni sanciscono l’inevitabile sconfitta elettorale dell’ULP. Per La Malfa è la prova che il liberalismo prefascista non ha la forza di opporsi al regime. La battaglia comincia ora.
Rientra a Venezia, dove si laurea con Francesco Carnelutti con una tesi dal titolo “Di alcune caratteristiche giuridiche del contratto della giurisdizione, dell’arbitrato, della conciliazione nei diritti intersindacali, interindividuali ed internazionali”. Su consiglio di Carnelutti, si iscrive alla Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Padova. Carnelutti lo presenta al rettore Luigi Locatello con queste parole: «Questo giovane La Malfa che ti presento è un singolarissimo dottore Ca’ Foscarino laureato con una magnifica tesi giuridica, che ora vuole, per mio consiglio, studiare a Padova… Ha ottime gambe» (AUP, lettera di Carnelutti, 12 maggio 1926: in Soddu 2008, p. 56).
È ammesso al terzo anno. Non prosegue tuttavia gli studi giuridici, distaccandosi peraltro dal suo professore e dalla prospettiva di una carriera accademica. Nell’Intervista a Alberto Ronchey del 1977 dirà: «Il mio impegno antifascista cresceva… del resto mi era venuta quasi la repulsa del diritto, anche perché Carnelutti, con la sua logica astratta, mi cominciava ad apparire un acrobata del diritto» (La Malfa, Intervista 1977, p. 8). Da marzo ad agosto è impiegato alla Camera di Commercio di Roma. Poco dopo la scomparsa di Amendola, La Malfa scrive il 21 maggio all’amico Amedeo Piraino: «La morte di Amendola è stata da me appresa con terribile dolore. Quest’ultimo aveva esercitato su di me un’influenza irreversibile… Bisognoso, come del resto tutti i giovani nati in un’età di degenerazione, di una rieducazione morale anzitutto e soprattutto, ho trovato in quest’uomo l’esempio più nobile di quella che è l’ubbidienza ad un imperativo morale assoluto» (Archivio Piraino, Carte La Malfa: in Soddu 2008, p. 65 n. 89).
Nell’estate pubblica tre articoli su Il Mondo, il quotidiano fondato nel 1922 da Amendola e diretto da Alberto Cianca. A settembre comincia il servizio militare nel 13° reggimento artiglieria da campagna. Pochi mesi dopo, a dicembre, è degradato e trasferito per punizione a Cagliari perché trovato in possesso, forse in seguito alla denuncia di un commilitone, di materiale antifascista, in particolare alcuni scritti di Amendola e fascicoli della rivista genovese Pietre.
Nel gennaio, La Malfa viene congedato dal servizio militare. Poco dopo è assunto come addetto alla segreteria di direzione dall’Istituto Nazionale per l’Esportazione (INE), con sede a Roma, diretto da Manlio Masi, anch’egli laureatosi a Ca’ Foscari e di idee antifasciste, con cui manterrà sempre forti legami di amicizia. La Malfa ricorderà Masi nell’Intervista del 1977 come «un uomo estremamente preparato e intelligente direttore dell’Istituto del commercio estero, che mi chiamò presso di sé» (La Malfa, Intervista 1977, p. 8).
Si trasferisce a Roma. Con i genitori e i fratelli abita al civico 2 di Via Monte Nevoso, nel quartiere Montesacro. Oltre che con Cattani, anch’egli impiegato all’INE, in questo periodo La Malfa riprende i contatti con alcuni amici della vecchia UGL, in particolare Giorgio Amendola e Sergio Fenoaltea, e con i suoi professori di Ca’ Foscari, Trentin e Luzzatto. Stringe rapporti più solidi con i giovani antifascisti Lelio e Antonio Basso, Mario Paggi, Mario Boneschi, raccolti attorno alla rivista Pietre. Inizia, inoltre, a frequentare la casa di Meuccio Ruini, stringendo amicizia col figlio Carlo.
«…E di là cominciò la mia amicizia per lui, e la mia devozione che va oltre la morte»
Mantiene i contatti con i giovani antifascisti, quasi tutti provenienti dall’esperienza dell’UGL. Cerca di tenerli uniti, oltre che nel ricordo della comune militanza con Giovanni Amendola, in una prospettiva democratica che superi gli errori di quel mondo politico liberale che aveva aperto la strada al fascismo e non aveva saputo opporsi efficacemente ad esso. In ragione di legami sempre più stretti con l’antifascismo militante, ma sulla base di un’accusa rivelatasi poi totalmente infondata, il 1˚ maggio è arrestato perché sospettato di essere tra i responsabili, insieme a Mario Vinciguerra, Pilo Albertelli, Gino Luzzatto ed altri, dell’attentato dinamitardo del 12 aprile alla Fiera Campionaria di Milano, che aveva provocato 18 morti e circa 50 feriti. Imprigionato nel carcere romano di Regina Coeli e poi in quello milanese di San Vittore, il 9 luglio gli viene inflitta l’ammonizione, divenuta diffida il 22 febbraio 1929. Nasce in quella circostanza l’amicizia con il giovane allievo di Guido Calogero, Albertelli, filosofo promettente che sarà tra i martiri delle Fosse Ardeatine.
La Malfa ricorderà: «Pilo Albertelli fu antifascista fin dal principio. Io lo conobbi in una giornata piena di sole, nel maggio 1928, alla stazione di Roma. Eravamo stati presi dalla polizia qualche settimana prima e posti in celle separate. Alla stazione ci incontrammo insieme, ciascuno in mezzo a due carabinieri, Pilo Albertelli, Mario Vinciguerra e io, ed eravamo tutti un poco imbarazzati per le manette che ci stringevano i polsi. Facemmo il viaggio insieme fino al carcere di San Vittore a Milano. Dopo gli interrogatori, fummo messi in una stessa cella, io e lui. E passavamo il tempo giocando a scacchi e parlando di filosofia e di politica, del mondo, degli uomini, delle cose. Dopo un anno e mezzo trascorso insieme al carcere e al confino ci separammo. E di là cominciò la mia amicizia per lui, e la mia devozione che va oltre la morte» (discorso pronunciato il 30 marzo 1954 al Liceo Albertelli di Roma: in La Malfa, Scritti 1953-1958, p. 128).
A causa di questa vicenda, per decisione del presidente dell’INE Guido Jung, La Malfa viene dapprima sospeso e poi licenziato il 12 giugno. L’ondata di arresti e di repressioni che in quella fase si abbatte sugli antifascisti, fa maturare in molti di loro, specie nei più giovani, scelte di campo e di militanza più radicali. Ad esempio, Giorgio Amendola di lì a poco aderirà al Partito Comunista. La Malfa ebbe a questo proposito un aspro confronto con Amendola, accusandolo di tradire la memoria del padre, perché – gli disse – «… sei figlio di Giovanni Amendola e non puoi rinnegare il suo insegnamento… Perché non sei in grado culturalmente e politicamente di prendere seriamente un impegno e di valutarlo in tutta la sua gravità» (Amendola 1976, pp. 269-270).
Dopo il licenziamento dall’INE, La Malfa vive mesi di disoccupazione o di collaborazioni estremamente precarie. Valuta l’opportunità di trascorrere un periodo di studi all’estero, come risulta dalle carte del senatore Luigi Einaudi che era allora consulente della Fondazione Rockefeller. Collabora con il Corriere vinicolo, con L’Esportazione finanziaria e con la Federazione Nazionale della Proprietà Edilizia. Lascia Roma e ritorna a Palermo nel maggio, per un impiego presso l’Ufficio Studi del Banco di Sicilia. Scrive nell’ottobre all’amico Leone Cattani: «Che sia soddisfatto in questi primi giorni del soggiorno palermitano non posso dire. Mi annoio un po’ e soprattutto stento ad abituarmi al nuovo ritmo di vita e alle proporzioni ridotte di questa città nelle sue diverse manifestazioni… Scrivimi presto e, mi raccomando, minutamente di quello che ti interessa e mi interessa» (La Malfa 2005, p. 42).